La
ricchezza è gioia nella carità
del
Servo di Dio DON DOLINDO RUOTOLO
È
raro trovare una persona che, in un modo o in un altro, non aspiri
alla ricchezza.
Quando
si vede o si conosce un ricco, nasce spontaneamente un sentimento di
invidia, perché si suppone che il ricco sia felice. Il lusso che
ostenta, in realtà, è illusorio, perché è gravato da mille pesi
e da mille preoccupazioni.
La
ricchezza, se non si espande in opere di carità, e se non è
lontana dal ricco, con il distacco da ogni cosa terrena, rimane
chiusa in se stessa, soffoca, o stringe il cuore come un serto di
spine. Sembra un paradosso, eppure è una verità.
Psicologicamente
non è l’abbondanza che soddisfa, ma quello che può assorbirsi o
assimilarsi. Soddisfa più il poco, quando lo si appetisce, che il
molto, quando è sovrabbondante.
Un
vestito nuovo lo si può mettere con piacere, ma dieci vestiti
ingombrano nella scelta, e finiscono per generare la noia.
Una
modesta somma di denaro che deve contarsi e calcolarsi perché basti
al bisogno giornaliero, può far sentire di più la soddisfazione di
averlo, con sentimento di riconoscenza a Dio, che una ricchezza
esorbitante la quale dà la preoccupazione di custodirla ed il
fastidio di calcolarla.
È
inutile illudersi: noi non siamo fatti per i beni terreni, ma per
l’Infinito, ed ogni ricchezza alla quale ci attacchiamo, è come
una diga che preclude la via all’Infinito, raccoglie acque di
tempesta, frana e può travolgere in una marea di fango.
La
ricchezza può diventare gioia quando chi la possiede la diffonde
nella carità e la dona a Dio, sollevando le pene dei poveri;
allora il ricco è come polla d’acqua viva che non ristagna, ma
scorre quale limpido fiume, ed irrora le arse terre, rendendole
feconde.
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